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Testi Parlami D'Amore
Mariù
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Piccoli
Spostamenti Del quore
(Interno di un piccolo bar - L'attore,
seduto a un tavolino, si rivolge al cameriere) "Una birra, per
favore... Cosa ci ha? Ah, va bene quella lì!"
Sono un po' in anticipo. Meglio, così mi riordino le idee. E quando
arriva lei... le dico tutto. Chissà che faccia fa!... Secondo me non
se l'aspetta. E sì, perché io con lei mi sono sempre tirato un po'
indietro. Non che l'abbia fatto apposta... Mi viene naturale, e di
solito funziona. Ha fatto tutto lei, fin dal primo giorno. C'era anche
Mario. Stava ancora con lui. Me la ricordo benissimo: i suoi sguardi,
anche un po' troppo... coraggiosi, sfacciati. Ma le donne, quando
partono... non le ferma più nessuno. Io mi tiravo un po' indietro...
chissà, forse per Mario... forse perché era proprio una ragazzina...
Carina, molto carina, un po' acerba, selvatica... Il mio genere.
Ma... forse ora... perché ho bisogno di freschezza... Certo... sono
appena uscito da una storia di quelle tremende... No, bella
all'inizio... ma poi... ecco, si fa a chi soffre di più... Amor
proprio, ricatti, bisogni assurdi, litigi estenuanti, tragedie...
Mamma mia! Che cosa assurda la cattiva qualità dell'amore!
Bisognerebbe scappare, appena e così... Che poi forse, dopo un po' di
tempo, riesce anche a voler bene. Ma al momento è un disastro... Ore e
ore nelle nostre stanze sempre un po' buie... Quelle discussioni che
durano giorni e notti... colpa mia... colpa tua... E l'angoscia che
s'infila dappertutto... ti penetra, ti distrugge... Bisogna
scappare... respirare, rinascere. E allora è chiaro che la
ragazzina... sì, insomma... sentire qualcosa, qualcosa di nuovo che
sta per nascere.
No, io all'inizio non volevo mica. E anche quando ci s'incontrava da
soli... sì, uno scherzo, una carezza... Non ho mai voluto andare
oltre. Mi bastava la sua presenza, mi bastava anche per quando non
c'era. Sì, mi bastava sapere che esistesse. Sublimavo... E forse qui
ho sbagliato.
"Perché vedi, Daniela...", le dicevo, "tu per me sei come un
distributorino di benzina. Ogni tre o quattro giorni ti vedo, faccio
il pieno, e sono a posto."
Quest'immagine del distributore d'amore mi era piaciuta, perché era la
prima volta che mi capitava di gioire così naturalmente della bellezza
di una donna. Mi pareva bella anche da lontano, qualsiasi cosa
facesse, e dovunque me l'immaginassi: in casa da sola, a ridere in
mezzo agli altri... o a letto con Mario. Insomma, l'amavo... in sé,
come se non sentissi nessun bisogno... di averla.
(al cameriere) "Un'altra birra, per favore!… Sì, come quella di
prima".
Devo dire però che ultimamente il pieno... sì, il carburante... non mi
dura più quattro giorni. Consumo di più: tre giorni, due giorni, un
giorno... Maledizione! Mi viene in mente spesso, ho voglia di vederla.
Mi ci vorrebbe un distributore d'amore a getto continuo. Lei invece è
discontinua. D'altronde glie l'avevo detto io.
E io ora: SPUMM! Un attacco di quelli tremendi: SPUMM! Un avvampo. È
come quando accendi il gas e ce n'è troppo: SPUMM! E il mio cuore
libero come un pesciolino che circola e va...
Com'è bella la Daniela! Con quel corpo agile, così snello e dolce
nelle sue curve, la pelle sottile, e quei capelli lisci e biondi che
ondeggiano al suo muoversi. Non cammina, lei. Vola.
Vola tra tutti noi come un angelo... un angelo dolcissimo, ma con lo
sguardo ironico, furtivo, quasi perverso. Com'è bella! Sono in trance.
In me oscillano valori sentimentali... e anche viziosi. Sì, è vero,
vorrei proprio sbatterla su un prato, quella canaglietta! Ma anche
accarezzarle i capelli per delle ore con sentimento di eternità.
Quand'è così, è l'amore.
(con enfasi) Ma sì, Daniela: ti amo, ti amo. E anche tu, lo so... hai
lasciato Mario per me. Mi ami, sono sicuro. D'altronde ci si doveva
incontrare, è il destino. Non si va contro il destino. Ti amo, ti amo.
Ti vorrei sempre. Mi manchi, e soffro, anche. Soffro quando non ti
vedo, quando non so dove sei. (con enfasi crescente) L'amore è quest'ansia...
perché certamente anche tu quando non mi vedi sei in ansia, lo so. Ma
sì, piccolina, è vero. È colpa mia che non te l'ho mai detto, non ti
ho mai detto "l'unica" parola che ti dovevo dire. Ma ora è finita.
Basta con le attese che dilaniano. Tu cosa potevi fare, poverina...
Ora sono io che ho deciso, che ti dico tutto... (quasi fuori di sé) Ti
amo, ti amo, ti amo.
(al cameriere continuando a gridare) "Una birra, per dio!"
(guarda l'orologio) Non arriva. È un po' in ritardo.
Sì, perché lei non bada a queste cose. Non si sa mai che fa... se
viene, se non viene... Non le piacciono gli appuntamenti. Ha ragione,
è fatta così. È anche di questo che mi sono innamorato. L'orologio...
lei non lo guarda nemmeno... anzi, non ce l'ha. Bisogna che gliene
regali uno, un orologino d'oro. No, per carità, non è il sue genere.
Si fa presto a sbagliare... Di plastica, sì, di plastica... verdino
chiaro...
Eccola, sta arrivando. Lo sapevo. Non cammina. Vola. Sono pronto,
Daniela. Anche a me non mi ci vuole nulla a volare nel sublime.
È incredibile come le cose tanto attese, al momento che avvengono,
siano un po' meno magiche. Non è facile parlare... degli
sconvolgimenti del cuore mentre lei inzuppa la brioche nel cappuccino.
Si rischia di raccontare delle brutte poesie. Ma non posso certo
rimandare ad un altro momento. Ecco, mi concentro, aspetto un attimo
di silenzio, e glielo dico semplicemente: "Ti amo".
Lei solleva la testa dal cappuccino e con tutta naturalezza: "Io no.
Non ti amo. Credevo di amarti, ma non ti amo. Scusami, mi sono
sbagliata".
Bel colpo.
Un avvampo, un avvampo, un afflusso di sangue... Il cuore, che prima
era così dolce al suo posto giusto, ora si sposta un po' verso l'alto,
passa rapido attraverso l'esofago, il mattone, e mi si ferma qui, alla
gola.
(al cameriere, deglutendo) "Un'altra birra, per favore".
Che vigliacca! Fa di tutto per farmi innamorare. Mi cerca dovunque, la
spudorata. Lascia Mario per me... che anche lui, poveretto!... Ma chi
se ne frega di Mario. Io ora che faccio? Devo rimontare, lo so... Non
è facile rimontare, ma bisogna provarci. Ecco, le dico che non ha
capito quanto "lei" sia importante per me. Mi sembra un po' freddina.
Rincaro la dose. Le scaravento addosso una tale quantità d'amore da
far fondere un frigorifero. Niente, non va mica bene. Non fonde.
Allora tiro fuori anche la vecchia storia di mia madre che mi
trascurava, quella funziona sempre. Scivolo sempre più nella
commiserazione, nel patetico, nel pietismo più spudorato. Non so se
questa tirata fa effetto o se è ripugnante. Forse lei è intenerita,
forse schifata. Niente, solo un po' distaccata. Siamo all'atto finale:
"Daniela, Daniela, non mi dirai mica che non mi vuoi almeno un po' di
bene!... Restiamo amici... ecco, sì, due fratelli". Neanche questa so
se le è piaciuta o no. Comunque ne approfitta: "Sì, volevo... volevo
appunto chiederti... sì, un piccolo prestito..."
"Ma certo..." dico io "ci mancherebbe".
"Ecco, solo due o trecentomila lire".
"Volentieri... con piacere!"
E lei: "Grazie, lo sapevo che ci potevo contare. Sai... Devo andare
qualche giorno in Sicilia... con Mario".
Quando si firma un assegno siamo già in un'altra dimensione. Più
ridicola, ma più vera.
"A chi lo intesto?" "A Daniela Pistoni".
"Ah, già..." È come se di colpo rientrassi nella misura normale delle
cose. Ora il sublime se n'è andato... ma automaticamente anche il
dolore. II mattone è tornato al suo posto. L'amore, che invenzione!
Possibile che sia solo questo piccolo spostamento del cuore?
Ora Daniela si alza, allegra come sempre. Mi bacia, mi saluta e si
allontana.
Ma non vola. Cammina.
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Un Alibi
Cara, è quasi primavera
potrebbe anche accadere in questa dolce sera.
Poi ti senti arrivare nel cuore degli impulsi strani
quanto basta per vivere insieme tutta una vita
ma che male scoprire che in fondo la donna che ami
non sai neanche se esiste, non l'hai mai guardata.
Un alibi, mi ci vuole un alibi
per scaldare il cuore mi ci vuole un alibi
un alibi, un astuto alibi
dietro ad ogni gesto c'è nascosto un alibi.
E poi l'uomo non riesce ad apprezzare abbastanza l'ozio
e diventa quasi sempre una persona seria
che non sa rinunciare all'imperdonabile vizio
di lasciare un segno nella propria storia.
Un alibi, mi ci vuole un alibi
per scaldare il cuore mi ci vuole un alibi
un alibi, una scusa
un gioco, una difesa
per raggiungere ogni cosa mi ci vuole un alibi.
C'è persino chi riesce ad inventarsi un amore infinito
per le pene lontane di chi sta soffrendo
le sue braccia sono troppo corte per sfiorare un amico
ma abbastanza lunghe per abbracciare il mondo.
Un alibi, mi ci vuole un alibi
per scaldare il cuore mi ci vuole un alibi
un alibi, una scusa
un gioco, una difesa
per raggiungere ogni cosa mi ci vuole un alibi.
Cara, ti prego resta ancora
potrebbe anche accadere che sia una cosa vera.
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Addirittura Padre
(Interno – sera - L'attore è seduto sul
divano davanti alla televisione)
Ah, "Gli uccelli"... Bene, lo rivedo volentieri. Me lo ricordo poco.
Speriamo che Paolino non si svegli. La tengo un po' bassa.
Però bravo, Hitchcock... Hai visto?... Escono dal negozio... e ti fa
vedere il cielo con tutti quegli uccelli... così, come se non
c'entrasse nulla. E tu dici: (godendo) Ahi, ahi, qui succede qualcosa.
Mascalzone. Ti potrebbe tenere qui delle ore, e poi non succede nulla.
Sì, io lo so che poi succede... L'ho già visto!..
Lei è andata a teatro, Paolino dorme, e io mi vedo Hitchcock.
(porge l'orecchio verso la camera) Dorme. Non fa altro: mangia e
dorme. Non comunica molto. A sette mesi non si può pretendere. La
notte invece comunica: la notte gli piace la compagnia... della mamma,
mi è sembrato di capire... anche perché dicono che io non sono bravo.
E io, per carità, se non vogliono che me ne occupi... Speriamo che
stasera sia buono. Anzi, fammi dare un'occhiata.
(esce di scena e rientra quasi subito) Perfetto! No, dico, com'è
messo. Fermo, tranquillo, a pancia in giù: come da indicazioni.
(guarda la televisione) Ah, ecco: lei è in barca che va verso la casa
di lui. Peccato, mi sono perso la scena dell'uccello che le sfiora la
testa. No, no, è adesso. Ecco, il grido del gabbiano, il primo piano
di lei, ed eccolo che scende in picchiata: FRRR!... Che paura! Be',
mica tanto, però. Al cinema mi pareva più un colpo. Sarà lo schermo
piccolo, oppure è che uno a casa... va e viene, ci ha altro da
pensare. (dà un'occhiata verso la camera) Dicono che mi assomiglia. Un
classico. Bruttino è bruttino. D'altronde i bambini piccoli, si sa...
Guai a dirlo a lei. Lei se lo prende, se lo sbaciucchia, se lo gode...
cioè, proprio come... come un fatto fisico. Come è cambiata. Non era
mica così. Tutte le mamme... sì, sono tutte in trance. Non pensano
mica.
È come se lo sapessero prima, cosa devono fare. È come se l'avessero
sempre saputo.
Ci hanno degli occhi strani... Guarda mia moglie: un animale stordito,
stordito e felice. Gira per la casa, tranquilla, come ispirata, mi
cammina sopra i piedi, tanto io che ci sto a fare... Secondo me non mi
vede nemmeno. Sarà la maternità. La maternità... Dev'essere una roba
grossa. Non lo saprò mai. Il padre... il padre è diverso, almeno io...
Cioè, certamente quando è più grande... sì. Ma ora... Non mi vengano a
dire che si sente qualcosa di... (come dire: grande) Per ora io...
faccio quasi fatica a capire che è mio figlio. No, veramente ci sono
anche quei padri che... gli piacciono già così piccoli... E il latte,
l'odorino... e li puliscono, li lavano... la cacca, gli piace anche la
cacca.
No, a me la cacca non mi piace, mi fa un po' schifo... No, per carità,
uno non ci fa caso, si pulisce, però non godo... ecco, non godo.
(avverte nell'altra stanza il bambino che si lamenta) Eccolo che si
sveglia. Serve aiuto? Arrivo, arrivo... sono qui apposta. (esce di
scena)
(si sente la sua voce) Che succede? Ah, il ciuccio. Dov'è finito il
ciuccio? Eccolo qui. Tutto a posto.
(rientra in scena) In fondo non è mica tanto difficile. Basta
infilargli qualcosa in bocca. (guarda la televisione) Ora questa parte
qui è un po' noiosa. Lei gli regala i pappagallini... "Gli
inseparabili"... Pappagallini?!... Come di là: uno zoo, un lunapark...
zzz!... Moschine, farfalline che girano... il festival del Giappone.
Non c'è nulla che richiami nonni, zie, e parenti come un neonato.
Tutti intorno. E dopo tre giorni: "Ride, ride... hai visto che
ride!.." "Ma va?! fammi vedere..." "No, ora non ride più." Quando
c'ero io non rideva mai. A meno che certe piccole smorfie scimmiesche
non fossero interpretate come segno di grossa ironia. Ora che è più
grande è la stessa storia: "Parla, parla! Ha detto mamma! "Ma no! Io
ho sentito uà-uà." "Ma tu non vuoi capire." "Come non Voglio, non lo
dice... Per carità, lo dirà, lo dirà... per ora fa uà!…"
(guarda la televisione) Un momento: qui è bello, qui è bello... me lo
ricordo. I gabbiani attaccano i bambini. Lì per lì sembra un gioco, ma
poi capiscono, i bambini... e gridano: "Mamma, mamma!" Loro sì che
dicono 'mamma', mica Paolino. Lui fa uà... sono sicuro. Sono gli altri
che sono matti. E non solo sono matti, ma ce li ho tutti i giorni qui.
Il padre di mia moglie, il notaio... quello non lo vedevo mai, non gli
ero neanche simpatico. Arriva Paolino: perde la testa. Gli fa le
faccine strane, la bocchina a culo... il notaio, capisci?... gli parla
con una vocina... da bambino di dieci anni un po' deficiente... perché
secondo lui così si capiscono di più. Allora fagli 'uà-uà', almeno sei
scemo come lui.
È incredibile come un bambino riesca a creare intorno a sé un'oasi di
imbecillità.
Ecco, ricomincia a piangere (esce di scena)
(si sente la sua voce) Che c'è che c'è ora?!... Non si sta in pace,
eh?... Il ciuccio ce l'hai... cosa vuoi adesso? Ma perché piangi così?
Che succede? Ho capito, ho capito... ti prendo in braccio. Ecco, così
va bene... Buono,buono... Sei furbo, eh?!.. Dormi, dormi... così...
buono...
(rientra in scena col bambino in braccio) Meno male, si è calmato. Si
dev'essere addormentato. Ha la testina appoggiata sulla mia spalla.
Non posso vedere se sta dormendo, ma dal suo respiro mi sembra di sì.
Ce l'ho in braccio male. Non dev'essere comodissimo. D'altronde a
questo punto non lo muovo. Per carità! Ssss... immobile... sì,
piano... arrivo al divano... così... mi siedo. Oddio, si è svegliato.
Aiuto, sta gridando come un disperato piange, urla, si agita come un
matto... tossisce, ha le convulsioni. Dio, che faccio?. Si contorce,
sferra calci, si dibatte senza sosta. Io non so come tenerlo. Lo giro,
lo rigiro, gli do dei colpetti sulla schiena. Si calma un po', ancora
un sussulto... si calma, sembra che smetta. Poi tutt'a un tratto: un
pianto di gola, fortissimo, ripetuto... attaccato alla mia spalla come
se la mordesse. E piange, piange, piange come se soffrisse in un modo
pazzesco. Sento le sue gengive che stringono... e la saliva, la saliva
che scende ogni nuovo grido. Lo abbraccio a me, forte, forte, come se
lo pregassi di smettere. Appoggio la guancia alla sua testa, ai
capelli. È sudatissimo, le gote rosse piene di lacrime... un calore
enorme, emana un calore che non avevo mai sentito. Appoggio il viso
alla sua fronte. "Smetti, Paolo... smetti, ti prego. Ci sono io.
Smetti, sono tuo padre, sono tuo padre!" Niente, sento le sue gote
dure, contratte, sento i suoi occhi chiusissimi, come se li stringesse
per resistere al dolore. E poi giù lacrime, e lacrime, e grida sempre
più forte. Ora ci ho la sua bocca proprio sul viso, la sua bocca
spalancata che brucia e preme sulle mie guance. Non ce la faccio più a
sentirlo urlare, non deve soffrire, non deve... Mi raccomando a Dio,
sì, che m'importa... "Ma basta, Paolo! Basta! Fallo per... basta!
ecco, bravo, più piano, sì amore, tossisci, sì, ecco... vomita,
vomita, vomita!"
Vomita come vomitasse tutto... sulla mia spalla tutto questo caldo,
tutto questo pianto, tutti questi liquidi... tutta questa calma.
"Stiamo meglio, vero?... Sì, stiamo meglio."
Lo stringo a me... e questa volta è un abbraccio. Come è strano
abbracciare un figlio così piccolo. Chissà cosa sente, l'animale...
Però mi ha fregato. È la prima volta che provo... che poi chissà
cos'è... Un attimo. (Con molta delicatezza posa il bambino sul divano
- si siede - lo guarda un attimo - lo sguardo gli va alla televisione)
C'è un gran silenzio, ora. Siamo già alla fine. Loro se ne vanno,
pianissimo, ancora pieni di paura. Gli uccelli sono lì, immobili,
milioni di uccelli fermissimi, sui fili, sugli alberi, sui tetti...
tutti in attesa... e non fanno niente.
Eh sì. Hitchcock. un finale senza finale.
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La Gente è Di Più
Un figlio
quasi inerte
con una madre quasi suora o meglio ancora
con un padre affascinante e forte
un figlio di famiglia media cresce quasi normale
per recitar la solita commedia dell'amor filiale.
È facile pensare
che nella prima adolescenza la sua esistenza
fosse beata e abbandonata a quella suora da baciare
più tardi solo i padri son perfetti sono i nostri dèi
e come accade a tutti voleva esser come lui.
Ma non è dell'infanzia che si vuol parlare
ma piuttosto del cuore
di quei turbamenti segreti che non sai decifrare
la gente è di più, la gente è di più.
Un figlio che sta male
un figlio già cresciuto e insofferente ad ascoltare
un padre intollerante e sempre più banale
un figlio che ascolta sua madre, i suoi soliti pianti
e poi la notte sotto le lenzuola i suoi baci sgomenti.
Sarà un malessere vitale
o la natura che reagisce, pian piano cresce
un odio di pensiero e al tempo stesso viscerale
un odio per il padre, un insensato furore così antico e forte
che a tratti vorrebbe addirittura la sua morte.
Ma non è della rabbia che si vuol parlare
ma piuttosto del cuore
di quelle emozioni insensate che non sai contenere
la gente, la gente, la gente è di più
la gente, la gente, la gente è di più.
Un figlio ormai lontano
un uomo adulto che ha di fronte il suo presente
un ritorno in famiglia, un sentimento strano
un uomo di coscienza media, come un fatto normale
va a recitar la solita commedia dell'amor filiale.
L'esagerata indignazione
l'insofferenza e la fatica di una vita
poi d'un tratto trovarseli vecchi, che sensazione
un attimo per farsi perdonare e per dirsi addio
con i capelli bianchi e la dolcezza dell'oblio.
Ma non è dalla morte che vi suol parlare
ma piuttosto del cuore
di quell'accattone di affetto così lento a capire
la gente, la gente, la gente è di più
la gente, la gente, la gente è di più
la gente, la gente è di più
la gente, la gente è di più.
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Addio Cristina
(Interno - tardo pomeriggio)
Che caldo! Mai sentito un caldo così soffocante. Strano, sembrava
inverno fino a ieri... E ora, alle sette di sera, non si respira.
Proviamo sul balcone.
Guarda che roba: si trasforma la città ai primi caldi. E anche più
silenziosa, bella compatta... una caldaia. Sembra che fumi. Meglio
chiudere le persiane e stare fermi.
È finita. Questa volta è proprio finita. Lei ha deciso di andarsene.
Non la rivedrò più. Benissimo!
Tre anni, un amore folle... forse più lei di me. Era così
innamorata... E io, devo dire, negli ultimi tempi non ne avevo neanche
un gran bisogno. Non gliel'ho mai detto per non farla soffrire. Ecco:
mi ha lasciato lei. E brava Cristina, ha fatto bene.
Che caldo! Certo che anche lei... lasciarmi con questo caldo... In
genere preferisco che mi lascino d'inverno. Comunque è un bene che lo
facciano loro. Io non lascio mai... per principio; anzi, per
vigliaccheria. Ci ho paura. Le donne possono fare di tutto. Una volta
ho detto a una: "Ti lascio." PUM! Svenuta. Tutta la gente intorno: "È
lui, è lui... assassino!" Aceto, sali... Rinviene. "Andiamo a casa,
amore... per carità, come non detto." Non sono contente le donne
quando non le ami più. Da allora io... zitto. E lei: "Ma tu non mi
ami?!" "Sì che ti amo, per dio!"
Tutte così le donne, tutte uguali. Cristina, no. Non sviene.
S'ammazza. Cioè, si ammazzava... voglio dire... non ora... ora torna
dal marito, tranquilla. È la prima volta che mi lasciano per il
marito. E la sensazione non è bella. Che ci farà col marito?!... Che
caldo!
E pensare che voleva fare un figlio... con me. E io no. Anzi, avevo il
terrore di rifare un'altra famiglia.
Ecco cosa ci avevo con Cristina: un'attrazione fisica fortissima, mai
provata. Bastava che ci si sfiorasse, e io... TUM!... subito. Che
riflessi! Ma l'amavo davvero... non è che non l'amassi. Non avevo
voglia di fare progetti e basta. È per questo che mi ha lasciato...
Questo voleva Cristina. Cristo, che caldo!
Me lo poteva anche dire subito: o il figlio o niente. Ma possibile che
tutte vogliano un figlio da me!... E chi sono? Un toro?!...
È vero, è vero, la colpa è mia, lo so... E non mi prendo
responsabilità... bene!... Sono egoista... bene!... Vivo al momento...
bene! Ho paura di invischiarmi... bene!... Sì, sì, lo so...
Vigliaccheria, vigliaccheria. Ma santo Dio, si scopava così bene...
che c'entrano i figli?!
Lei aveva una gonna chiara e camminava un po' avanti a me sulla
pensilina che porta ai treni. È lì che mi ha detto che era finita,
poco prima di partire. Non era né allegra né felice. Le stazioni sono
il posto ideale per certe malinconie. Non volevo che finisse così. Ma
tutte le parole che ho trovato per fermarla non avevano risonanza.
Subito dopo camminava già verso il suo scompartimento. Avrei dovuto
richiamarla. Lei se ne andava per sempre. La pensilina si era riempita
improvvisamente di silenzio. A trenta metri di distanza la mia donna,
una figurina lontana e sola, sembrava che radunasse lentamente tutte
le ombre della sera attorno alla sua gonna. Ti resta solo un nodo alla
gola. Addio Cristina!
Bello quest'addio... alla stazione. Poetico... Tutto intriso di
malinconia, di dolore. Ogni tanto ci si lascia prendere da qualcosa
che assomiglia a un sentimento vero. No, perché è bene saperlo se uno
soffre o no. Dunque: tre mesi fa stavo per lasciarla io... per
l'australiana. E lei: un dolore!... Il Leopardi, sembrava...
Esagerata!
Ora è lei che mi lascia. E diciamo la verità: un po' mi dispiace. Sì,
un po'. Non si deve rischiare di ingigantire. È un dolorino. Un
piccolo fastidio... un dolorino. Ecco, è questa pulizia del sentimento
che è importante. Certo che se l'avessi lasciata io ai tempi
dell'australiana...
(un po' risentito) No, il fatto e che mi lascia così...
improvvisamente... dopo tre anni... alla stazione... due parole:
addio. Non è possibile che non mi pensi. Perché non mi chiama... Ma
sì, cosa ci vuole... una telefonata!... Lo sa che per me sarebbe
tutto... in questo momento. Che scemo! Non ci sono mica i telefoni in
treno. Ma, chi lo sa... un miracolo. È così che si diventa cattolici!
Eppure sono sicuro che se lei volesse... certo... si potrebbe fermare
a Genova... cambiare treno, tornare indietro... telefonare,
scrivere... si possono fare dei telegrammi bellissimi da Genova.
Noleggiare cavalli, aeroplani, biciclette... Raggiungermi... Vederla
arrivare qui col cuore in gola... Ecco cosa mi ci vuole... Per amore
si fa questo e altro. Io lo farei. Io, quando voglio bene, mi
arrampico sui vetri... faccio di tutto... Sì, perché a Genova ci vado
a piedi, io!
Sto esagerando. È una storia finita e basta. Non è la prima. E poi non
è mica una tragedia. Dopo un po' passa. Non è mica morto nessuno...
Lei mi lascia... e io mi ammazzo. Mi butto. Mi butto dalla finestra,
va bene? No, uno magari pensa: la riconquisto. Non si rimonta mai. Fai
un sacco di discorsi, belli anche, di quelli che fanno colpo. Quale
colpo?!... Una volta facevano colpo. Ma cosa parlo a fare, cretino!
Con questa faccia da perdente... Un pugno ci vorrebbe: PUM!… invece di
inciampare sulle parole, un fiume di parole... che quella poi va a
casa e dice: "Ma che ha detto?! Niente!" PUM!... Invece, quello sì che
se lo porta a casa. Tanto non si rimonta. Hai voglia di averci
ragione. Non si rimonta mai con le parole. Col suicidio... ecco, col
suicidio si rimonta: tie'! beccati questa. Così impari. Non lo sapevi
tu chi ero io. Ecco, ora lo sai: un cadavere. Ma guarda se questa mi
doveva ridurre così! Non si sta mai tranquilli. Avevo appena finito di
pagare la casa. Mi lascia... E poi chi è quel deficiente che dice che
è un dolorino?!... Ma quale dolorino... Soffro come una bestia. Ma lei
lo saprà cos'è il mio dolore? No, perché magari non lo sa. Allora:
tie'! Perché il mio è più grosso del tuo. Io ti butto addosso tanto di
quel dolore che il Leopardi diventa un allegrone. Glielo ridicolizzo
il poeta! Ma poi chi se ne frega dei poeti... No! Torna dal marito,
lei... E magari fanno anche l'amore, questi viziosi... con quel suo
corpo da mamma, da animale. Via, via!.. Basta!.. È finita! È finita!..
Che cosa vuoi che me ne importi di quella schifosa che va a letto
anche con suo marito! Aria... ho bisogno di aria. (va alla finestra)
Come sono strani i cortili dei condomini... un misto di prigione e di
giardini pubblici... con quei fiori che si arrampicano sui muri
scalcinati. Era una sera come questa... che aveva rubato delle rose,
Cristina... e saliva le scale. Cristina!… Non importa... passerà.
Dovrà pur sciogliersi questo nodo alla gola!.. Sì, mi calmo... mi
calmo.
La stanza si è immersa nel silenzio e nel buio. II soffitto mi pesa
addosso, trasudante, compatto. Completamente nudo mi muovo appena
sotto il lenzuolo bianco, sottilissimo. Lo stringo con i denti, con le
labbra. Poi lo sposto, lo sollevo in aria... si gonfia, ricade
adagio... Un brivido... Cristina, sto male, sto tremando, ho la
febbre... e sudo, e sudo, e sudo... e invoco... e deliro. E ancora una
volta sudo dalla testa ai piedi. Mi passo una mano sui corpo, caldo,
caldissimo, bagnato... sulle cosce, sulla pancia, e poi... Cristina,
Cristina, Cristina!.. L'immagine si fa più pressante, corporea. Anche
lei e tutta sudata, sudatissima. Le sue mani sul mio corpo... sì, le
sento: allucinazione, ricordo, dolore, stordimento, stanchezza,
eccitazione, forse... ma in delirio. Ora mi giro e strofino il mio
corpo contro il letto. Forse sussurro anche qualcosa... Ma certo, e un
attimo: lacrime, calore, saliva, frasi, membra, rimpianti, globuli,
liquefazione, tutto... tutto si riversa sui lenzuolo.
Addio Cristina.
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I Soli
I soli sono individui strani
con il gusto di sentirsi soli fuori dagli schemi
non si sa bene cosa sono
forse ribelli forse disertori
nella follia di oggi i soli sono i nuovi pionieri.
I soli e le sole non hanno ideologie
a parte una strana avversione per il numero due
senza nessuna appartenenza, senza pretesti o velleità sociali
senza nessuno a casa a frizionarli con unguenti coniugali.
Ai soli non si addice l'intimità della famiglia
magari solo un po' d'amore quando ne hanno voglia
un attimo di smarrimento, un improvviso senso d'allegria
allenarsi a sorridere per nascondere la fatica
soli, vivere da soli
soli, uomini e donne soli.
I soli si annusano tra loro
sono così bravi a crearsi intorno un senso di mistero
sono gli Humphrey Bogart dell'amore
sono gli ambulanti son gli dèi del caso
i soli sono gli eroi del nuovo mondo coraggioso.
I soli e le sole ormai sono tanti
con quell'aria un po' da saggi, un po' da adolescenti
a volte pieni di energia a volte tristi, fragili e depressi
i soli c’han l'orgoglio di bastare a se stessi.
Ai soli non si addice il quieto vivere sereno
qualche volta è una scelta qualche volta un po' meno
aver bisogno di qualcuno, cercare un po' di compagnia
e poi vivere in due e scoprire che siamo tutti
soli, vivere da soli
soli, uomini e donne soli.
La solitudine non è malinconia
un uomo solo è sempre in buona compagnia.
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Falso Contatto
(Interno – notte)
"Eh sì... vivo da solo... Si vede, eh... C'è un po' di confusione, ma
c'è tutto. Sono contento che tu sia salita un attimo. Non l'avrei mai
sperato. No, non fraintendermi... con una donna come te non lo farei
mai... Cioè, sì, lo farei... cioè... che casino... voglio dire... non
siamo qui per questo. Siediti. Ci ho anche del whisky. Ne vuoi un
po'?"
E lei: "No. Voglio fare l'amore con te."
"Come? Cos'hai detto?"
"Sì..." ripete tranquilla, "voglio fare l'amore con te."
Avevo capito bene. E la Madonna! Ma è una meraviglia. Un miracolo.
Bisogna afferrarli al volo, i miracoli. Mica te lo chiedono due volte.
Ecco, non le do neanche il tempo di finire la frase. La prendo tra le
braccia e la stringo fortissimo. Sono troppo eccitato. La trascino in
camera. Mi slaccio la camicia. Mi tolgo le scarpe, i pantaloni, le
mutan...
Oddio! Non sono pronto. Eppure mi piace da impazzire... Niente. Come
mai? No, non facciamo scherzi... proprio stasera. Non mi succede mai.
Comunque le mutande le tengo. Lei è già sotto il lenzuolo. Chissà se è
completamente nuda. Speriamo di no, cioè magari... un po' di seta...
Mamma mia, che faccio? Ecco, mi sdraio vicino a lei e prendo tempo.
Silenzio. Cerco di comunicarle quanto sia emozionante l'attimo in cui
non è ancora successo niente... Le faccio: "Il sabato del villaggio."
E lei, abbracciandomi: "Caro!... "Ma come 'caro'? Mi chiamava Giorgio
fino a un minuto fa... Per loro è facile. Sono subito pronte. lo
invece... che faccio? La strada della tenerezza, certo... che poi è
proprio quella che a un certo punto... Sì, mi piace, mi dà fiducia.
Basta non preoccuparsi. Ma sì, così; con calma. L'accarezzo
esplorandola dolcemente in ogni punto del corpo con la punta delle
dita. La pelle è sottile. Poi premo leggermente con sensibilità lenta,
lentissima, orientale. Niente. Neanche l'Oriente mi aiuta. Sono
disperato.
Provo a buttarmi su di lei con ardore. Il resto verrà da sé. Infatti,
lo sapevo. Meno male... È bellissima, sì, sì. L'abbraccio, la stringo,
la bacio, poi le accarezzo il viso, la guardo negli occhi, e la
ribacio, la bacio, la bacio, la bacio...
Sì, ma non posso mica andare avanti a baciarla tutta la notte! Calma.
Lei non si è ancora accorta di niente. Vedi quando si dice 'una donna
meravigliosa'... 'una santa'?!
"Come sei bella!"
E lei: "Sì, ma fermati, fermati. Non preoccuparti. Non ti devi
sforzare."
Ahi, aveva capito tutto... 'la santa'. Mi discosto sfiduciato, in
silenzio. Lei si rannicchia dolcemente con la testa sulla mia spalla e
mi accarezza piano, quasi distrattamente. Sta cercando di aiutarmi. E
ci riesce... Brava, ci sta riuscendo... così, così... miglioro,
miglioro. Ora scende, sì, con grande delicatezza gioca con l'elastico
delle mie mutande. Che fa? Me le toglie? Nooo! Errore! Fine del
miglioramento.
In questi casi... o uno sprofonda, o fa dello spirito. È il mio
genere: "Sono belli gli amori spirituali, eh... Non si corre il
rischio della volgarità." Genialità sprecata. Non è disposta a certe
intuizioni. Mi fa solo: "Spero non sia colpa mia..." Lasciamoglielo
credere, lasciamoglielo credere! Che poi è anche vero. Non si dice in
quel modo "Voglio fare l'amore con te." Non è mica un annuncio
economico. E poi, poi non ci si spoglia così: TRAC! La colpa è sua.
Sì, va bene, è bellissima... ma la colpa è sua. Ma che credeva di
fare? Si è anche tutta profumata, come una...
Ecco, quest'idea della troia mi piace... più di quella della santa.
Perché non ci ho pensato prima? Ci sono dei pensieri che fanno
effetto. Sì, sì, sento che succede qualcosa... finalmente, finalmente.
In un attimo sono sopra di lei. Ci siamo. Questa volta me la prendo,
me la prendo. Sì, sento affluire il sangue da tutte le parti.
Affluire, affluire, affluire... No, non da tutte le parti.
Mi ritiro piano piano nel mio angolino. Lo so, lo so, l'unica cosa è
non preoccuparsi, ma... a un certo punto... si preoccupa lei, la
santa. Bisogna distrarla. "Vuoi una sigaretta?" È sempre così. Negli
intervalli tra un tentativo e l'altro si fumano tre pacchetti di
sigarette e si parla anche di Gheddafi.
Durante la conversazione lei strofina un po' il suo corpo contro il
mio. Poi un po' di più. lo continuo con la Libia. Non le dispiace mica
il Medio Oriente. È che a furia di sfregarsi a un certo punto la santa
ha una voglia di scopare tale che non si riesce a immaginare neanche
in uno scimmione. Mi salta addosso letteralmente. Ora è sopra di me.
Sono in sua balia. Non mi dà tregua. Che faccio? Dovrebbero aspettare,
le donne, per dio! Dovrebbero star lì buone... che poi magari tutt'a
un tratto scatta. E invece ti aiutano cioè, credono di aiutarti... e
ti toccano... ahi! maldestre, anche. Allora, sì... che fare? lo mi
difendo come posso. Cerco di facilitare la sua passione... che arrivi
al massimo. Certo, faccio qualcosa con le mani... così alla rinfusa,
con le ginocchia mi agito, tocco, stringo, struscio, sgambetto... Lei
morde, geme. Poi si calma, si calma... Si calma... Dev'essere andata
bene. Scivolo da sotto di lei sempre più furtivo. Lei resta immobile a
pancia in giù. Un attimo di silenzio. Ho capito. È il momento della
dolcezza. Le passo una mano sui capelli e la guardo pieno di
comprensione...
Niente. Dorme come un sasso.
Devo aver dormito un po' anch'io. Dalla finestra chiusa male filtra un
po' di luce, azzurra, discreta, silenziosa. È mattino. Strano come
dopo certe stanchezze e stravolgimenti capiti qualche volta al mattino
una specie di superattività insensata delle funzioni genitali. E, ai
soggetti che per tutta la notte sono stati, diciamo così, frigidi, gli
viene come una potenza insospettabile, una vera e propria 'fame
d'amore'... Che poi, più che fame d'amore, è un irrigidimento
meccanico da stato febbrile.
Fa lo stesso. Occorre approfittare. Lei sta dormendo ignara. Devo
svegliarla. Questa volta ho le carte in regola. "Svegliati, cara,
svegliati!" Lei apre gli occhi a fatica. È ancora mezza addormentata.
E io, sottovoce: "Voglio fare l'amore con te." Non mi sembra
entusiasta. Ma come? Dopo avermi violentato per tutta la notte... Non
importa. Mi ci butto addosso... tutto nudo, spettinato, con la barba
lunga, ma eccitatissimo. Lei mi guarda spaventata. lo la aggredisco
facendole sentire tutta la mia potenza. Non si diverte niente.
Possibile? Mai vista una cosa del genere... cioè, in una donna...
certo, sono sempre pronte, loro. Non può sfuggirmi così. Ora l'aiuto
io. Le passo una mano sui seni. Non può sfuggirmi così. Scendo,
scendo... forse ci siamo. Le afferro le mutande. Lei se le tiene. Ma
che modi sono?! Certo, la sera leoni, eh... Te lo faccio vedere io,
avanti, così, buona... Macché! Non ci sta. Si divincola, stringe le
gambe. "Ma io ti violento, scema! che volevi fare tu, stanotte? Sì,
sì, ti violento... così!.." Mica facile però, se lei non ci sta. Come
faranno, come faranno. Ecco, così, brava, finalmente, sull'ala dello
slancio cede, cede, cede. L'ho distrutta. Non ha più energie. Non
partecipa, ma cede. Mi lascia fare. Me ne frego. Vado, vado da solo.
La prendo con forza, con gesti bruschi, rapidi, isterici, pazzi. Un
guizzo nervoso. Un guizzo da lucertola. È roba di secondi. Parlo,
bacio, urlo. mugolo, muoio... È la fine... Amore, amore, amore!!!
'Amore'... Che strana parola.
Sono ancora sopra di lei, immobile. Le stringo forte una mano, ma
siamo separati dappertutto. Stringere una mano così disperatamente è
l'amore al suo stadio più finale. E il silenzio è il suo fissativo.
Quando il silenzio si è insediato fra due persone è difficile farcelo
uscire. Il silenzio penetra nei muri, nelle stanze, nei mobili...
Ovunque è presente. Sotto di esso la vita continua, ma non si sente.
Assopita, immobile... come noi, ora.
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E Tu Non
Ridere
Se il vero è questo nostro tempo da
dimenticare
a volte viene in mente che è meglio vivere d'amore.
Avevo un gran timore di non capir più niente del sentimento umano
ma dopo poche ore avevo lei per mano.
Era di primavera, non mi ricordo il mese e neanche l'anno
vidi la gioia fermarsi e farmi un cenno.
Inadeguatamente mi abbandono a questa dolce sconosciuta
l'unica degna di ossessionare la mia vita.
Poi tolgo il cuore dal suo corpo tenue di fanciulla
ma per giocare come un bambino con la palla.
E tu non ridere mio dolce amico
non dare ascolto alle mie stupide emozioni
e tu non ridere che in fondo il mondo
è questo assalto di dolci confusioni.
Così stupita guardava il cielo, il bello, i criminali
ma senza impegno, come fanno le piante e gli animali.
Era persino troppo emozionante per chi allena il suo cuore
coi bei concerti, i discorsi importanti e le letture.
Si camminava casti per la strada o in riva al mare
come due innamorati della Cina Popolare.
E tu non ridere mio dolce amico
non dare ascolto alle mie stupide emozioni
e tu non ridere che in fondo il mondo
è quest'assalto di dolci confusioni.
In una notte calda, piena di abbandono e di tremore
come si suole fare, abbiamo fatto l'amore.
Poi tutt'a un tratto ho visto nei suoi occhi un velo di malinconia
e stranamente, senza dire niente, se n'è andata via.
La luce mia si è spenta e piano piano mi sto spegnendo anch'io
ora è silenzio, nirvana, pace e notte... oblio.
E tu non ridere mio dolce amico
non ti stupire di questa storia mai esistita
si può anche vivere senza capire
se il vero è il sogno o il resto della vita.
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L'Insolito Commiato Del Sig. Augusto
(Interno - pomeriggio)
La stanza è un specie di ampia anticamera, uno studio di avvocato,
ordinato e pieno di libri, dove spiccano alcune stampe vagamente
antiche, e un comò di buon gusto sei o settecentesco. Non importa.
Taglio perché questi particolari non aggiungono niente alla storia.
Forse sto vivendo uno di quegli attimi in cui uno non capisce bene che
sta succedendo, e perché. Ma siamo tutti qui davanti a quella porta
che dà su una camera, dove il signor Augusto vive forse le sue ultime
ore, e senza l'assistenza dei suoi famigliari. È una sua scelta...
forse pudore esasperato, egoismo, altruismo... chi lo sa... forse
perché in certi momenti le persone più vicine... sì, i figli, la
moglie... Taglio!... perché è quasi impossibile capire come in certi
casi possa essere straziante... farsi vedere dai familiari...
Con me è diverso. È riuscito a parlarmi anche in questi giorni.
Evitava qualsiasi accenno alla sua malattia. Soltanto una volta ha
sussurrato: "Da un giorno all'altro mi troverò improvvisamente privo
di dolore.
Era molto bello come lo ha detto. Gli anziani sono quasi sempre belli.
Forse perché i loro lineamenti si acquietano. Non devono più fare
sforzi per apparire in un certo modo. Sono in pace con le loro rughe.
E tutto diventa armonioso.
Ecco come lo vedo io, il signor Augusto. È come se sentissi per lui
una forma di ammirazione e di amore... quasi sconosciuto. Taglio. Esce
il medico: "È tranquillo e non soffre." dice con tono rassicurante.
"Non ha più bisogno di me, purtroppo."
La moglie è immobile su una sedia. Il figlio e la figlia camminano
avanti e indietro in silenzio. Lei ha gli occhi rossi di pianto. È
strano che malgrado l'età io mi sia inteso sempre più col padre che
con loro. Anche con la signora Rosita non mi sono mai capito... Mi
sembra sempre di un'ovvietà disarmante... anche un po' bigotta. Non
cattiva, ma... insomma... una donna non cresciuta.
Taglio!... perché in fatto di miserie uno capisce solo quelle simili
alle sue.
"Ma perché non vuol vederci..." dice la figlia quasi implorando. Forse
non lo capirà mai.
Da più di dieci giorni il signor Augusto è lì dietro quella porta che
incomprensibilmente recita le sue ultime ore con un'anziana
infermiera. Un modo strano di allenarsi alla morte... senza attorno
quelli che gli vogliono bene. Probabilmente è solo perché non vuole
vederli soffrire.
E allora io? Forse non lo sa quanto io...
Sì, è strano sentirmi così attaccato a un uomo che ha venticinque anni
più di me. Un tempo era molto amico di mio padre. Mi portavano a
pescare quando ero piccolo. Poi mio padre ha smesso. Augusto no. Così
ho continuato ad andarci io. Aveva trovato per me una canna di bambù
leggerissima... E io riuscivo anche a prendere qualche pesce. Mi
trattava come un nipotino. Sì, mi aveva scelto. Forse solo perché ci
piaceva il lago. 0 c'era di più?... Si stava zitti per delle ore.
Eppure mi ha insegnato tutto sulla pesca. Le sue mani si muovevano
adagio, con sapienza. I gesti sicuri, essenziali... e poi
l'immobilità, l'attesa.
Taglio, taglio.
Esce l'infermiera. Mi guarda. "Può passare, se vuole."
La camera è in penombra. La prima cosa che si avverte è un odore acre,
l'odore delle stanze dei malati. Mi avvicino. Mi fermo a un metro dal
letto. Lui mi guarda fisso senza parlare. Non sembra che soffra. C’è
come una specie di calma. È molto cambiato il signor Augusto
dall'ultima volta che l'ho visto. Mi allunga una mano con fatica. Io
lo guardo, gli sorrido, gli prendo la mano e gliela stringo
affettuosamente... ma con un po' di paura.
Il signor Augusto!... È qui davanti a me. L'avevo già visto venti
giorni fa e sapevo tutto. E c'ero preparato. Ma adesso è diverso,
diversissimo. Ora lui se ne va, proprio da un attimo all'altro. E io
rimango fermo davanti a lui cercando di trovare la forza, almeno per
compatire. Balbetto qualche parola, ma sono stordito, bloccato, con
tutti i muscoli contratti. Capisco di non essere all'altezza. Ma non
basta capire. Bisognerebbe essere. Dovrei trovare un altro uomo più
grande di me per farlo morire dolcemente. Ora lui suda gocce così
grosse che sembra che pianga con tutto il corpo. In questi momenti è
straziante essere diventati poveri come si è. Si manca di quasi tutto
quello che occorre per aiutare un uomo a morire. Lui è solo.
Probabilmente sta raccogliendo le sue ultime forze per capire cos'è la
morte.
Chiude gli occhi.
Cos'è la morte? La vecchia morte, quella che ti viene a prendere. La
vecchia morte ladra. La pallida. La dama con la falce. L'infame. La
bagascia. Nessuno resiste al suo richiamo. Nessuno. Che vuoi che se ne
faccia un uomo del proprio corpo? Che se lo prenda lei! Eccola che si
avvicina. Cammina nel giardino, indifferente. Non tocca neanche terra.
Non guarda a destra né a sinistra. È lì. Gironzola. Sento il suo odore
acre. Ha già deposto l'uovo. Non ci abbandona mai. Chiudete le porte,
le finestre! Ma come? Non te l'hanno mai detto che devi morire?
Sempre, sempre me l'hanno detto. Eppure mi disgusta, certo, non sono
pronto, ho ancora da fare, e poi lo voglio decidere io. Mi disgusta
quella spudorata quando arriva e ti spia, e ti aspetta, e ti sfibra, e
ti vuole bianco come lei. Ti toglie il sangue e non rimane niente di
niente. Nemmeno un po' di rosa intorno al naso, sì, nel posto del
raffreddore.
Eccola, arriva puntuale. Non devi far altro che ospitarla. Non viene
mica per punirti. No! Per abitudine, per testardaggine. È puntigliosa,
precisa. Oppure ti prende a tradimento, la vecchia bagascia, per la
strada, in ospedale. Ma sì, come le piacciono gli ospedali! E i
vecchi... e i bambini... tutti se li prende, l'ingorda. È tutto suo:
La fatica estenuante dei 6422 enfisemi polmonari. L'acidità arrabbiata
dei 12326 alcolizzati. L'angoscia piena di domande dei 27873 ipertesi.
I sussulti nervosi dei 4372 epilettici. L'ossessione sospetta delle
18227 epatiti virali. Il disprezzo incontenibile dei 47215
tossicomani. Il colore disumano e osceno delle migliaia e migliaia di
cancerosi... E gli anemici, gli eczematosi. I diabetici, gli
albuminosi, i paralitici, i pazzi, gli stupidi, gli inutili, i troppo,
i non abbastanza... tutti, tutti, tutti dovete riconsegnare l'anima!
Siete pronti? Siete in grado? Non è mica gratuito crepare. Bisogna
presentare alla vecchia bagascia un bel resoconto tutto ricamato di
storie. Ci vuole il bilancio, il bilancio. È esigente, l'ultimo
respiro!
Eccola. È ancora lì. Gironzola. Sento il suo odore acre. Ha già
deposto l'uovo. Non ci abbandona mai.
Esco. I figli mi vengono incontro. La madre rimane ferma raccolta nel
suo angolo. È lì che prega in silenzio. Che strano! Non sapevo che si
potesse pregare così bene... voglio dire... senza forma.
In strada sono già un altro uomo. Non basta sentire di avere toccato
un'altra dimensione. Non basta essere andato un attimo nell'altro
mondo. Appena in strada si ritrova subito il corso dei giorni come lo
abbiamo lasciato qui a strascicare. Il corso dei giorni normale,
miserabile, precario... ci aspetta.
Taglio!
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L'Uomo Che Sto Seguendo
L'uomo che sto seguendo
ha l'aspetto di un uomo medio, direi banale
non sa bene che cosa cerca e che cosa vuole
si addormenta intontito e si alza senza soffrire
con la stessa indolenza che l'ha fatto addormentare.
L'uomo che sto seguendo
non ha la forza per un dolore vero
è troppo inerte, troppo tollerante come tutti noi
l'uomo che sto seguendo è un uomo sincero
che ogni notte ha amato una donna e non ha amato mai.
Un sentimento
qualche cosa che può sembrare un rito antico
per distinguere il falso e il vero basta poco
un solo sentimento, un vero sentimento
per trovare il coraggio di ridare un'occhiata al mondo.
L'uomo che sto seguendo
ha l'aspetto di un uomo onesto, direi perbene
ma è colpevole di gesti inutili e di omissione
la sua vita gli passa sopra, gli gira intorno
e purtroppo non ha diritto a nessun inferno.
L'uomo che sto seguendo
è troppo vile per dedicarsi al male
è troppo altero, troppo intelligente per affidarsi a Dio
l'uomo che sto seguendo è un uomo normale
l'uomo che sto seguendo sono io.
Un sentimento
qualche cosa che può sembrare un rito antico
per distinguere il falso e il vero basta poco
un solo sentimento, un vero sentimento
per trovare il coraggio di ridare un'occhiata al mondo.
Un sentimento
qualche cosa come un ricordo ormai lontano
per difendere quel mistero che era l'uomo
un solo sentimento, un vero sentimento
per ridare un senso alle cose non puoi fare a meno
di un sentimento.
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Cortesie Per Gli Ospiti
(Interno- notte)
Una camomilla… stasera mi ci vuole proprio una camomilla. Ci ho lo
stomaco un po'… No, non è che sto male, ma ogni tanto è bello
andarsene a letto presto, non fumare… Ecco, la camomilla mi dà proprio
questo senso… sì, mi ripulisce.
Ffff!… Bollente. Va be', aspettiamo. Non è ancora mezzanotte. Ho
proprio bisogno di una buona dormita. È un po' che non riesco a
riposare bene. No, non è che non dormo, è che mi sveglio
continuamente...
(qualcuno suona alla porta) Il campanello. Chi può essere a quest'ora?
Speriamo bene. (si alza)
(parla al citofono) "Chi è?… Ah, sei tu, Marina… Sì, ti apro". Marina?
Va be', con lei non ci ho problemi. Ma cosa vorrà a quest'ora… e senza
Alberto, mi sembra di aver capito. Speriamo che non sia successo
niente. Stasera vorrei proprio dormire. Ma sì, è un'amica, glielo
dico.
"Marina, che ti succede?" Lei mi si butta al collo… molto più
affettuosa del solito. Ho capito. Fine della camomilla.
No, è simpatica, Marina, un po' matta… cioè, strana… anche com'è
fatta: con quel corpo stupendo, le gambe bellissime, alte, compatte,
ben tornite… E poi quel viso… No, di viso non è bellissima. Un po'
gonfio agli zigomi, anche qui... sul naso. E la voce? Una voce che non
ci sta mica con quel corpo… sì, con quelle cosce… No, non ci sta.
"Vuoi una camomilla, Marina?" Si è seduta e mi sembra nervosa. "Ne
vuoi un po'? È calda…"
"Macché camomilla! Dammi un whisky." Non è nervosa, è furibonda. "Non
ce la faccio più."
Non ce la fa più. Lo sapevo. Ecco, mi butta addosso di tutto... su
Alberto, s'intende. E si scalda, diventa rossa, sale di tono… "E la
bolletta del telefono, la bolletta del telefono!…" Non capisco, provo
a domandare, ma lei è partita. "È sempre colpa mia, colpa mia, certo,
il telefono… Sono io che spendo i suoi soldi. Mi odia, mi odia!"
"Calmati, Marina!" Niente, non si calma. Dev'essere successo il
finimondo, credo. Se ne sono dette di tutti i colori.
"Certo, me ne ha dette di tutti i colori. E io non ce la faccio più,
non ce la faccio più a vedere quella sua faccia da aguzzino quando
conta gli scatti."
"Ma quali scatti, Marina!" Ecco, lo sapevo, riviene fuori la bolletta.
"Basta, Marina!… Non è niente. Può darsi che sia colpa della Sip…" E
lei: "Ma quale Sip? È tirchio, meschino..." Sempre stato, questo è
vero, lo so.
"No, non lo sai. Ora è di più. È insopportabile, pazzo, mi fa delle
scene isteriche, mi ammazzerebbe per il telefono… capisci?… Mi
controlla di nascosto, non posso neanche parlare con le amiche, con
mia madre. Ma io gliela faccio mangiare, la bolletta del telefono… Che
gli vada giù, gli vada giù!"
Manda giù mezzo bicchiere di whisky, e si calma. Meno male. Ecco, ora
ha un altro tono di voce. Accavalla le gambe, devo dire sempre
bellissime anche in questa occasione, anche quando con quella sua voce
sottile, inadeguata mi dice che è proprio finita. Ha deciso: vuole
dividersi. Poi, con una tranquillità spaventosa: "Dormo qui da te due
o tre giorni e poi in qualche modo farò".
Ahi, lo sapevo. Non bisogna mai fidarsi di quelli che all'improvviso
diventano calmi. 'Dormo da te…' Soluzione geniale. "Certo, Marina, per
me va benissimo… Ma i bambini? E Alberto?" E lei: "Non lo voglio più
vedere, quel bastardo".
'Driinnnn'! Oddio, il bastardo. Non può essere che Alberto. (guarda
allo spioncino) È lui. Che faccio? Gli apro? Sono qui con sua
moglie... Sì, ma non ho mica fatto niente!…
"Scusa l'ora." Mi fa lui piano. "Ho bisogno di parlarti."
Dio, che faccia, però… un funerale. Non vorrei che vedendola… Devo
alleggerire. Devo alleggerire. "Lupus in fabula. Entra, vecchio mio,
c'è una sorpresa." Si guardano e… niente: un gelo tremendo. Allora io:
"Oooohh!… eccoci qui ancora tutti insieme, come ai vecchi tempi! "
(gesto come dire: niente) Patetico. Non è il solito Alberto, sembra
quasi un po' gonfio... sì, in faccia. Forse i capelli corti… dev'essere
andato dal parrucchiere. Si accascia su una poltrona. Neanche una
parola. Lei fuma nervosamente. Lui guarda il tappeto. "Vuoi una
camomilla? Non è tanto calda…"
"Macché camomilla!" scatta furibondo. "È roba da finocchi." Come da
finocchi? È buona la camomilla. Mamma mia, che belva! Si butta sul
whisky con slancio, e giù un bel bicchiere! "No, perché, avanti, che
cosa ti ha raccontato?"
E io… "Niente."
"Figuriamoci niente…" incalza lui. "Chissà quella lì cosa ti ha
raccontato di me!"
"Ma no…" faccio io, "cose da niente, stupidaggini, la bolletta del
telefono…"
"Ah, ha avuto il coraggio di parlarti della bolletta del telefono!"
Aveva ragione lei, la bolletta del telefono lo manda fuori di testa.
"Perché tu non puoi capire cosa c'è sotto la bolletta. Lo sai tu cosa
c'è sotto la bolletta?"
"Sì, sì…", dico io, "me l'ha detto… gli scatti…"
"Ve li do io, gli scatti!" Oddio, è già passato al 'voi'. Mi tirano
dentro, lo sapevo, mi tirano dentro.
E lei: "Te lo dicevo io che è un taccagno. Un taccagno schifoso!"
"Sta' zitta, cretina!" fa lui. Sì, sì, stai zitta Marina… lascialo
parlare, lascialo parlare…
Ecco, lui si sfoga, racconta tutto. arriva al dunque. Lo sapevo che
c'era sotto qualcosa… sì, sotto il telefono… qualcosa di grosso… Salta
fuori un nome. Lui sostiene che è il suo amante, ne è sicuro. Lei
nega, è tenace. Lui s'incazza ancora di più: "Non è tanto per
l'amante… è che mi fa passare da scemo! E telefona a Roma tutti i
giorni…" Ha ragione, maledizione. Se stava a Gallarate era meglio.
"Sì, ci stanno delle ore, al telefono. E io pago, capisci?… oltre al
danno, la beffa! " Si ributta sul mio whisky e giù una mezza
bottiglia. Mai stato così generoso.
Un attimo di pausa, ma non mi illudo: il tempo di riordinare le idee.
Ora lei ce le ha chiarissime. Riprende calma: "Vedi, Alberto…", la sua
voce come sempre è insopportabile, "devi capirlo. Non si può più
andare avanti. È inutile. Dobbiamo dividerci."
Silenzio. Non parla più nessuno. Che sia finita? Lui solleva gli occhi
verso di me. E io… (gira la testa) Cosa vuole da me? Poverino, forse
piange. (gridando) "Avanti!" mi fa, "diglielo tu che fa schifo!" Non
piange. Anzi, scatta in piedi come una molla, urla, sbraita, insulta,
tira un gran calcio al tavolo. Lo sapevo. Il tavolo barcolla. Mi alzo
per salvare la bottiglia… whisky di malto… bevanda da uomini, altro
che finocchi, ventimila, maledetti taccagni, proprio qui dovevano
venire, non potevano mica giocarsela in casa, macché, campo neutro,
gli ci voleva un testimone, un arbitro… E allora ci penso io: "Siete
due pazzi!… Fate ridere, fate ridere… Ah, ah, ah, ah!!!" Niente, la
risata li eccita. Anche lei è pronta a scattare. Gliene dice di tutti
i colori: "Taccagno, imbecille, babbeo!" Aiuto, vuole la battaglia.
Ora si insultano all'unisono, non si capisce più niente, fanno a chi
urla di più. Per dio, basta, mi svegliano tutto il palazzo! Sono
stravolti. Lei ha la faccia sempre più gonfia. Lui smania, è tutto
sudato, sbatte i piedi per terra. "Fermo, fermo!... la portinaia..."
Che gli frega, non lo ferma più nessuno. Ha la camicia slacciata, e
tutti quei peli sul petto. Non gliene avevo mai visti così tanti.
Improvvisamente si getta sulla mia libreria, la scuote. "No, per
carità, che c'entrano i libri?!…" Macché, è lo sfogo. La scuote con
una violenza incredibile. "Aiuto, fermo!" Aiuto, crolla tutto:
PUTUTUTUTUM!!! Einaudi, Adeplhi, Guanda, Ricci… sì, anche quelli da
finocchi… È l'apoteosi. Aiuto, sfasciano la casa… sì, la mia. Lui
solleva una poltrona. Che forza gli è venuta: un orango! Lo credo, con
tutti quei peli. Digrigna i denti. Gli vedo le vene del collo. "Buono,
Alberto! La poltrona della nonna! " Non gliene frega nulla a lui di
mia nonna! E su, in aria. Che spavento! Marina schizza via veloce, con
quelle cosce, come fa… Ah, si nasconde ora, l'anguillona, evita,
sguscia... ed eccola la poltrona che volteggia, scende, scende… Ciao,
nonna! CRACRACRA!!!… contro il muro. Si diverte, l'orango. Un
carnevale. Ma quale restauro? Mille pezzi: BITITIMTIMTIMPUMPAM!!!…
legnetti, schegge da tutte le parti. Aiuto, la guerra, le
mitragliatrici! Niente, sono illeso, meno male. Poi la paglia, il
polverone… e le piume, le piume... una cascata! Cadono piano.
lentamente. Danno sicurezza.
Niente, non è contento. Non si è calmato neanche con le piume. Macché,
ha gli occhi iniettati di sangue. Lei se ne frega, reagisce, lo sfida:
"Cornuto, cornuto!" "Ma non si dice 'cornuto', Marina! Non è il
momento…" Non mi ascolta: "Sì, sì, cornuto!" gli grida in faccia,
furibonda. "Certo che ho un amante! E non uno solo: dieci, cento
amanti!" Sta inventando, vuole farlo impazzire. "Sono stata con tutti,
con tutti i tuoi amici… anche con lui!!!"
Con me? "Non è vero, non è vero, te lo giuro, non devi crederle! Io
non c'entro niente!" È la fine, lo sapevo. Lui si scaglia contro di
lei. Aiuto, che faccio? L'ultima volta che mi sono messo in mezzo era
un mastino. Che ricordo, che ricordo! Qualcosa devo fare. Lo strattono
un po', ma da lontano. Lei, coraggiosissima, la pazza, gli sputa
addosso. Cerco di tirarla via, con le gambe, come posso. Ecco,
finalmente, non ce l'ha più sotto, non ce l'ha più sotto! Allora si
morde una mano, si morde una mano, immobile, un tempo infinito… mi
pare. Sì, forse il rimorso. Ma quale rimorso?!… Improvvisamente sferra
un pugno fortissimo alla stufa… alla mia stufa antica. Un errore! Non
si rompe, quella lì... è di ghisa. PEMMM!!! Uuuuhh! Che male. Ulula
ora, l'orango. Ulula. Ha il sudore freddo. Ho capito: frattura!
Non c'è niente di più affascinante degli ospedali alle sei di mattino…
un silenzio!
Avevo indovinato: frattura del primo e del secondo metacarpo della
mano destra. Nella stanza vuota due infermieri un po' sonnambuli gli
preparano l'ingessatura. Alberto è calmissimo. Ci si incontra con lo
sguardo. Lui scuote un po' la testa e mi sorride.
Fuori è già mattino e camminiamo a fianco. Ora mi prende sottobraccio,
quasi fischiettando: "Vedi, Giorgio, l'alba è il momento più bello
della giornata. È un miracolo. È come se il tempo non esistesse." Io
sono un po' confuso, non capisco. Ho ancora l'immagine di quello che è
successo… E Alberto ne è già fuori. Forse ha ragione lui.
Le uscite d'ospedale all'alba lavano via tutto. Gli umori della notte
scompaiono e si cammina leggeri, ripuliti.
A due cose teneva molto, lui: alle albe e alla vera amicizia.
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Isteria Amica Mia
Sono giù
di morale
è da un po' che sto male
un'angoscia tremenda di notte e di giorno... un inferno
io non so cosa fare mi tolgo dal mondo
io voglio morire
aiuto sprofondo nel buio più nero
son finto o sono vero
boh!
E poi sono feroce
quello lì non mi piace
un po' troppo elegante una faccia abbronzata... un idiota
io lo faccio a pezzetti lo stritolo tutto lo prendo a cazzotti
così gli sconquasso il suo aspetto distinto
sono vero o sono finto
boh!
Addio addio l'amore mio s'è spento
nel mio cuore c'è uno schianto
ahi che male, ho anche pianto... ho pianto tanto
Addio addio mi hai proprio massacrato
come sono spappolato nel vederti andare via.
Isteria…
per piccina che tu sia
isteria
sian rimasti solo noi amica mia.
Sono giù di morale
l'ho già detto ma è uguale
se magari trovassi una bella ragazza... la salvezza
io lo so mi conosco se nasce l'amore mi esalto rinasco
mi scoppia nel cuore l'erotico guizzo
sono vero o sono finto
sono schizzo
nel senso di pazzo
sono un pupazzo.
Come sono avvilito
ho bisogno di aiuto
mi hanno sempre lasciato
col mio io sconosciuto
che senso di vuoto, che bisogno di dolcezza, senza i baci della mamma,
senza cioccolatini, senza margherite...
Dio come sono romantico!
Isteria…
per piccina che tu sia.
Isteria
sian rimasti solo noi amica mia.
Isteria
amica mia
isteria
andiamo via.
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